giovedì 26 maggio 2016

Washington Post: La Maggioranza dei Giovani Americani Oggi Rifiuta il Capitalismo


Sul Washington Post un commento al recente sondaggio dell’Università di Harvard, secondo cui la maggior parte dei giovani americani si dice contraria al capitalismo – cioè al principio fondante dell’economia americana. Solamente tra gli americani di 50 anni o più prevale una visione positiva del capitalismo. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica, l’espandersi incontrollato di quella cosiddetta idea di libertà che è il capitalismo deve avere portato molti a un ravvedimento, perfino nel cuore stesso dell’impero. Non c’è ancora però una convergenza d’idee verso un sistema alternativo.
di Max Ehrenfreund, 26 aprile 2016
In ciò che appare come un rifiuto dei principi fondamentali dell’economia americana, un recente sondaggio mostra che la maggior parte dei giovani rifiuta il capitalismo.
Il sondaggio, condotto dall’Università di Harvard, è stato condotto sui giovani dai 18 ai 29 anni di età, e ha trovato che il 51 percento degli intervistati è contrario al capitalismo. Solo il 42 percento è a favore.
Non è tuttavia chiaro in che misura i giovani intervistati preferiscano un certo sistema alternativo. Solo il 33 percento dice di essere a favore del socialismo. Il sondaggio ha un margine di errore del 2,4 percento.
I risultati del sondaggio sono difficili da interpretare, hanno notato gli esperti. Il capitalismo può significare cose diverse per persone diverse, e la generazione dei più giovani, in generale, è certamente delusa dalla situazione attuale.
In altri termini, dire che la maggioranza dei giovani intervistati nel sondaggio dell’Università di Harvard non è favore del capitalismo significa dire che i giovani elettori di oggi sono più attenti ai difetti del libero mercato.
La parola ‘capitalismo’ non significa più la stessa cosa di un tempo“, ha detto Zach Lustbader, dell’Università di Harvard e tra i ricercatori coinvolti nel sondaggio pubblicato questo lunedì. Per coloro che sono nati durante la Guerra Fredda, il capitalismo significava libertà dall’Unione Sovietica e da altri regimi totalitari. Per coloro che sono nati più recentemente, il capitalismo ha significato la crisi finanziaria, dalla quale l’economia globale non si è ancora completamente ripresa.
Un successivo sondaggio condotto su persone di tutte le età, ha trovato che anche gli americani più anziani sono in una certa misura scettici rispetto al capitalismo. Solamente tra gli intervistati con 50 anni o più si trova che la maggioranza è a favore del capitalismo.
Sebbene i risultati siano sorprendenti, i risultati del sondaggio dell’Università di Harvard sono in linea con altre ricerche recenti che mostrano ciò che gli americani pensano del capitalismo e del socialismo. Nel 2011, per esempio, il Pew Research Center già riportava che, in generale, i giovani tra i 18 e i 29 erano delusi e frustrati dal sistema del libero mercato.
In quel sondaggio, il 46 percento degli intervistati aveva un’idea positiva del capitalismo, ma il 47 percento aveva un’idea negativa — la domanda era posta in termini più ampi rispetto a quelli del sondaggio dell’Università di Harvard, nel quale si chiedeva invece esplicitamente se gli intervistati fossero a favore o meno del sistema. Riguardo il socialismo, il 49 percento dei giovani del sondaggio condotto dal Pew Research Centeraveva un’idea positiva, e solo il 43 percento aveva un’idea negativa.
Lustbader, giovane di 22 anni, dice che l’incupirsi dell’idea del capitalismo si vede dal modo in cui i politici parlano dell’economia. Quando i Repubblicani — un tempo i paladini della libera impresa — usano la parola “capitalismo” oggi, di solito è per lamentarsi del capitalismo clientelare, dice Lustbader.
Oggi non si sentono più le persone di destra difendere le loro politiche economiche usando quella parola“, ha aggiunto.
Resta da capire se gli atteggiamenti dei giovani verso il socialismo e il capitalismo implichino che essi stanno rifiutando il libero mercato per principio o se esprimano più semplicemente un’ampio senso di delusione verso un sistema economico nel quale i redditi delle famiglie sono in calo da 15 anni.
Sulla domanda specifica su quale sia il miglior modo di organizzare l’economia, per esempio, le idee dei giovani sembrano contrastanti. Solo il 27 percento crede che il governo debba svolgere un ruolo maggiore nella regolazione dell’economia, secondo quanto riportato dal sondaggio di Harvard, e solo il 30 percento ritiene che il governo debba intervenire maggiormente per ridurre le disuguaglianze di reddito. Inoltre, solo il 26 percento ritiene che la spesa pubblica sia un metodo efficace per aumentare la crescita economica.
Ad ogni modo, il 48 percento degli intervistati ritiene che “la copertura sanitaria di base deve essere un diritto garantito ad ogni cittadino“. Il 47 percento è d’accordo con l’affermazione che “le necessità fondamentali, come l’alimentazione e l’alloggio, sono un diritto che il governo dovrebbe garantire a chi non è in grado di pagarseli da solo“.
I giovani stanno dicendo che ci sono problemi e contraddizioni nel capitalismo“, ha detto Frank Newport, caporedattore di Gallup, quando gli abbiamo chiesto di commentare i dati. “Di certo non ho idea di cosa gli passi per la testa“.
John Della Volpe, capo sondaggista ad Harvard, è andato personalmente a intervistare un piccolo gruppo di giovani per capire più a fondo la loro opinione verso il capitalismo. Gli hanno risposto che il capitalismo è ingiusto ed esclude le persone anche quando queste si impegnano e lavorano duramente.
Non stanno rifiutando il concetto,” ha detto Della Volpe. “Ciò che rifiutano è il modo in cui il capitalismo viene oggi praticato, è questo che non vogliono“.

mercoledì 4 maggio 2016

La banca presta la moneta che non ha...

L’insegnamento di Luciano Gallino sulla moneta: «Lo Stato si decida a fare in piccolo quello che le banche private fanno in grande: creare denaro dal nulla»
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Una delle radici più profonde e nascoste della crisi è la moneta/debito, come insegna Luciano Gallino (“Il denaro, il debito e la doppia crisi spiegati ai nostri nipoti“, Einaudi, 2015). Il senso del suo insegnamento radicale e controcorrente si può sintetizzare così: la grande maggioranza della moneta che utilizziamo viene creata ex nihilo dalle banche private sotto forma di prestiti, cioè di moneta/debito. Questa è la vera causa dell’esplosione globale dei debiti privati e pubblici che soffocano l’economia.
La moneta bancaria aumenta i debiti e sottrae ricchezza all’economia reale. La moneta dovrebbe invece diventare un bene pubblico, una risorsa messa a disposizione dallo Stato per produrre ricchezza e benessere grazie alla piena occupazione e alla svolta ecologica dell’economia. E’ l’unica via d’uscita dalla crisi.

In continuità con gli studi e le lezioni sulla “moneta endogena” di economisti insigni, come John M. Keynes e Hyman Minsky e, in Italia, Augusto Graziani, Gallino spiega il malefico ingranaggio: «Una banca moderna crea denaro quando concede un credito. La credenza popolare per cui la banca presterebbe ad altri il denaro già depositato da un altro correntista è infondata». 

A sostegno della sua tesi, lo studioso cita la Banca d’Inghilterra: «Generalmente si ritiene che le banche agiscano come intermediari dando prestiti in base ai depositi dei risparmiatori. Ma è falso. Nella realtà dell’economia moderna le banche commerciali sono le vere creatrici del denaro depositato. E’ l’atto di prestare che crea i depositi.
Questo processo è il contrario della sequenza tipicamente descritta nei manuali». Il potere della democrazia e della politica ne è soverchiato. E ricorda già ai primi dell’Ottocento il presidente degli Stati uniti Thomas Jefferson affermava che «le istituzioni bancarie sono più pericolose per le nostre libertà di un esercito in armi. Il potere di emettere denaro dovrebbe essere tolto alle banche e restituito al popolo al quale propriamente appartiene».
La moneta legale, ovvero le banconote stampate dalla banca centrale, sono solo una parte minoritaria del denaro che effettivamente circola nell’economia.
Le banconote con valore legale che ritiriamo dai bancomat, valgono solo per il 5% del denaro che utilizziamo: il 95% del denaro che usiamo per le transazioni (stipendi, investimenti, acquisto casa, auto,ecc) è moneta digitale creata dalle banche.

Le banche hanno in teoria dei vincoli all’offerta di moneta/prestiti (come per esempio la riserva obbligatoria): ma in pratica creano moneta a loro piacimento grazie alla leva monetaria. Per un euro di capitale proprio hanno attività fino a 30-50 euro.
Neppure le banche centrali controllano la massa monetaria circolante: tentano di manovrare il credito grazie al tasso principale di interesse, senza riuscirci. Quando c’è il boom economico e la domanda di denaro è forte, le banche private fanno prestiti, creano denaro in eccesso; quando scoppia la bolla finanziaria, allora ritirano il denaro dall’economia e creano recessione (come avviene nell’eurozona).

La moneta bancaria è pro-ciclica e genera crisi.
Gallino ci spiega che le grandi banche, dagli anni ’80 in poi, hanno creato nuova “falsa moneta” con la loro attività finanziaria. Si sono trasformate in trader e scommettono (mettendo a rischio i soldi dei risparmiatori) in ardite operazioni speculative per ottenere profitti immediati e enormi. Grazie a società-veicolo fuori bilancio le banche internazionali organizzano un immenso sistema bancario-ombra che, a sua volta, crea un gigantesco mercato opaco di titoli finanziari esotici cosiddetti derivati, fuori dai mercati ufficiali e da ogni regola pubblica.

Il peggio è che i derivati – come i futures, le opzioni, i credit default swap – sono diventati “nudi”, ovvero sono delle pure scommesse nelle quali il valore sottostante della merce su cui poggia il valore del derivato non ha alcuna importanza per chi effettua le compravendite.
Il mercato dei derivati scambiati in questo capitalismo casinò è immenso: circa 700 triliardi (cioè migliaia di miliardi) di dollari, ovvero circa dieci volte il Pil mondiale. La moneta privata e sfuggita ad ogni controllo pubblico.

Ma l’alternativa esiste: le banche devono ritornare a rispettare vincoli precisi, i movimenti di capitale e il mercato dei derivati devono essere strettamente disciplinati. La politica deve ritrovare la sovranità sulla finanza. Nella prospettiva indicata da Gallino (e da Positivemoney.org, che Gallino richiama nel suo libro) la moneta dovrebbe essere emessa esclusivamente dallo stato e distribuita ai cittadini e alle imprese in base a decisioni di politica economica prese democraticamente da organi pubblici.
Gallino è stato l’unico grande intellettuale italiano che ha avuto il coraggio di promuovere un progetto innovativo come il fiscal money. La moneta fiscale non è che un titolo pubblico emesso dallo stato, convertibile in euro – come i Bot e i Btp -, valido per “pagare le tasse” dopo due anni, da distribuire gratuitamente (sottolineo: gratuitamente) a cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche. La moneta fiscale emessa dallo stato diventerebbe moneta a tutti gli effetti, con valore riconosciuto: infatti il fisco costituisce larga parte (40% circa) dell’economia e un titolo con valore di sconto fiscale è accettato da tutti.
Nella sua prefazione all’eBook edito da Micromega nel 2015, “Per una moneta fiscale gratuita” ha spiegato che si «osa proporre nientemeno che, allo scopo di combattere la disoccupazione e la stagnazione produttiva in corso, lo stato si decida a fare in piccolo qualcosa che le banche private fanno da generazioni in misura immensamente più grande: creare denaro dal nulla».
La moneta fiscale ha tre caratteristiche fondamentali che la rendono alternativa alla moneta bancaria:

  1. è emessa e distribuita dallo Stato e non dalle banche private;
  2. è una moneta nazionale e non una moneta prodotta dalle banche internazionali (come l’euro);
  3. è una moneta-credito (ovvero distribuita gratuitamente) e non una moneta-debito.
Grazie a questo titolo/moneta, lo stato – disintermediando in parte le banche – potrebbe combattere l’austerità dell’euro, rilanciare i consumi, gli investimenti e l’occupazione senza aumentare il debito pubblico (grazie al moltiplicatore keynesiano). Non a caso anche Mediobanca in un suo recente report ha scritto che con la moneta fiscale il Pil crescerebbe del doppio senza squilibrare il bilancio pubblico e la bilancia commerciale.

Enrico Grazzini - http://ilmanifesto.info/