venerdì 31 luglio 2015

L'Ungheria NON sta stampando moneta esente da debito



Di Daniele Pace

Sta tornando di moda un articolo di circa due anni fa, tradotto da un sito in inglese, in cui si affermerebbe che l'Ungheria stampa denaro senza indebitarsi.
Ero già intervenuto su questo articolo in altre discussioni, trovando anche il conforto di altri ricercatori attenti ai dati ufficiali dei mercati. Il titolo dell'articolo non è corretto. L'Ungheria ha si ridotto il suo debito, ma continua a comportarsi come tutti i paesi, ovvero ad emettere titoli di stato per finanziarsi. Quindi non sta "stampando moneta senza debito", ma sta monetizzando il suo debito mettendo i propri titoli (bonds, securities etc) sul mercato per essere acquistati dagli investitori alla borsa valori di Budapest


Infatti basta andare sul sito della Borsa ungherese per trovare le informazioni sugli indici e altro riguardanti i titoli di stato:


mentre sul sito della banca centrale si trovano i diversi ratio sui vari titoli compresi quelli di stato (L1): http://english.mnb.hu/Root/Dokumentumtar/ENMNB/Monetaris_politika/mnben_jegybanki_eszkoztar/mnben_fedezetertkeles/haircut120416_en.pdf

Le banche ungheresi continuano a trattare titoli ungheresi come ad esempio: 
https://www.otpbank.hu/portal/en/Retail/Securities/GovernmentBond




Sembra che tra l'altro i titoli rendano bene, per chi vuole fare un investimento.

Insomma, l'Ungheria continua ad emettere titoli, e non stampa denaro di stato. La banca centrale, pur essendo pubblica, stampa liquidità per le commerciali. Questo significa che come in tutti i paesi l'Ungheria prende il reddito da signoraggio come definito oggi (il reddito dalla vendita delle banconote contro obbligazioni, quindi i soli interessi) di una piccolissima parte del denaro creato dalla banca centrale, mentre per il resto si rivolge al mercato e infatti i suoi titoli sono in borsa.
Sicuramente qui c'è il solito malinteso tra stampa banconote e titoli di stato, che sono due processi distinti che si incontrano raramente nella banca centrale (la Banca d'Italia ad esempio ha solo l'8% dei TdS italiani). Il solito fraintendimento insomma di cui avevo già parlato nell'articolo sulla moneta straniera.
Non so da dove questo Ronald L. Ray abbia tirato fuori l'articolo, ma è certamente una bella bufala. Infatti manca di qualsiasi riferimento ufficiale, mentre basta andare a vedere due siti governativi ungheresi a caso per vedere che il debito c'è, e continua ad essere creato tramite l'emissione di TdS. Probabilmente anche lui confonde come molti la Banca centrale (seppur pubblica) con lo stato. Questi sono due enti distinti e separati, e non un unico corpo dove l'uno crea per l'altro. Non si è ancora capito insomma, come funziona realmente il sistema monetario, e ci si concentra sulla stampa e sulla banca centrale, dimenticando che il 97% è creato digitalmente dalle commerciali e viene usato per tutte le transazioni importanti (compreso l'acquisto di TdS), mentre con le banconote ci si compra il pane o le mele. Poi in Germania negli anni 30 fecero ben altro, non capisco come si possano accostare i due contesti.
Nei documenti ungheresi visionato non c'è nessuna traccia di una stampa di stato, niente decreti ne tanto meno bilanci che indichino un'emissione diretta senza debito.
Insomma, niente rivoluzione, mi dispiace.






giovedì 30 luglio 2015

L’usura, per Pound, ha mosso guerra al mondo dal 1694, quando nacque la Banca d’Inghilterra

di Francesco Lamendola - 29/07/2015

Fonte: Il Corriere delle regioni 




Ezra Pound era un poeta: e i poeti, qualche volta (non sempre) vedono più lontano degli specialisti e dei “tecnici”, siano essi specialisti e “tecnici” della politica, dell’economia, della finanza, e perfino della scienza.
Quel che Pound aveva visto con folgorante chiarezza, pur nella modestia della sua cultura economica e finanziaria, era una cosa fondamentale, che, strano a dirsi, continua a sfuggire a molti economisti e a molti esperti del mondo finanziario; a meno che non sfugga loro intenzionalmente: ma allora ci troveremmo in presenza non di specialisti e di “tecnici” che, per un eccesso di specialismo, tecnicismo e riduzionismo, hanno perso di vista l’insieme, ma, molto più semplicemente e banalmente, di corrotti e traditori, che hanno venduto l’interesse generale in cambio di vantaggi personali. In breve, Pound si era reso conto che l’intera storia del mondo moderno è la storia di una lotta continua, incessante, senza quartiere, fra l’usura e il lavoro; guerra combattuta talvolta con le armi, più spesso con i tassi d’interesse sui prestiti che le banche concedono ai privati e perfino agli Stati sovrani, i quali ultimi, in cambio, cedono gradualmente quote della loro sovranità, indebitandosi sempre di più e accumulando un peso debitorio che, alla fine, li mette completamente alla mercé dei creditori.
Oggi la cosa è divenuta talmente palese, che anche l’uomo della strada ha finito per rendersene conto, o, quanto meno, per averne una certa qual consapevolezza, e sia pure incompleta e superficiale, sia pure priva di adeguati riscontri e conoscenze puntuali; negli anni Trenta del XX secolo ciò poteva anche non essere altrettanto evidente, specialmente per un poeta. Quel che aprì gli occhi a Pound non fu la crisi del 1929 in se stessa, ma la “scoperta” degli antichi statuti del Monte dei Paschi di Siena: di una banca, cioè, sorta proprio allo scopo di concedere prestiti a interesse moderato, e mirante non all’arricchimento sfrenato mediante il nodo scorsoio dell’usura nei confronti del debitore, ma avente lo scopo preciso di sostenere il piccolo commercio e la piccola impresa, di sostenere i singoli e le famiglie in difficoltà, in modo da promuovere, o contribuire a promuovere, il benessere e l’attività produttiva dell’intero corpo sociale.
Nella loro saggezza, i fondatori del Monte dei Paschi di Siena, nel tardo XV secolo, avevano visto e compreso che nessun privato e nessun gruppo sociale possono progredire e avvantaggiarsi, quando l’intera popolazione soffre nelle strette dell’indigenza; che la povertà sempre crescente dei molti non può finanziare, all’infinito, l’accumulo di ricchezza di pochi, o di pochissimi, pena il corto circuito dell’intera struttura sociale e l’insorgere di violenze, carestie, rivolte, guerre, le quali, comunque, ben difficilmente varranno a ripristinare l’armonia del corpo sociale, fin tanto che non si deciderà di agire sui meccanismi perversi della finanza – oggi diremmo: dell’economia virtuale e speculativa –  tendenti a distorcere il sano ed equilibrato rapporto fra lavoro, risparmio individuale e benessere collettivo.
Il vero conflitto, dunque, non è – come vorrebbe il marxismo – fra capitale e lavoro, perché il capitale e il lavoro sono i due termini di una sana e necessaria dialettica economico-sociale; il vero conflitto, conflitto malefico e puramente distruttivo, è quello fra lavoro ed usura, intesa, quest’ultima, nel senso più ampio del termine: ossia tutto ciò che vive, parassitariamente, a spese del lavoro, e non incrementa la produzione, anzi, la frena e la scoraggia, né favorisce il risparmio, bensì lo distrugge, perché sottrae capitali a chi produce e li fa crescere a vantaggio di chi non produce, non lavora, non risparmia (nel senso intelligente del termine), ma vuole accumulare una ricchezza sterile e mostruosa, tendenzialmente illimitata, la quale, come una piovra maligna, assorbe e divora, una dopo l’altra, tutte le parti sane della società, fino a togliere ogni speranza, non solo di lavoro, ma di un futuro qualsiasi, alle giovani generazioni.
San Bernardino da Siena, che tanto si era impegnato sul fronte della questione sociale, e tanto si era adoperato per il prestito a basso tasso d’interesse, scagliandosi contro usurai ed Ebrei, muore nel 1444; il Monte dei Paschi di Siena viene fondato nel 1472, con la precisa finalità di soccorrere il lavoro e di favorire il piccolo risparmio, vale a dire come un vero e proprio monte di pietà, con la missione di soccorrere le classi e le persone disagiate. Le due date non sono lontane, le finalità sono pressoché identiche, come pure il luogo: tutte queste sono delle mere coincidenze? Ed è forse una coincidenza il fatto che si sia messo il silenziatore sull’aspetto sociale ed economico  dell’apostolato di San Bernardino, così come si è scagliato l’anatema, o si è fatto cadere il velo dell’oblio, sulla dimensione sociale ed economica degli scritti di Pound e dei discorsi da lui pronunciati alla radio italiana durante la Seconda guerra mondiale, nei quali denunciava l’affarismo delle grandi banche e la volontà del governo americano di scendere in guerra, apparentemente per la difesa della libertà e della democrazia, ma in effetti per ripristinare il sistema mondiale della speculazione finanziaria e dell’usura, messo in crisi dal sorgere del modello alternativo rappresentato dal fascismo?
Ha scritto Walter Mariotti nel suo articolo «Pound e l’MPS, banca contro l’usura» (sul mensile «Communitas», Milano, febbraio 2007, pp. 27-35):

«Un mondo nuovo. Dove il denaro è fondato sull’abbondanza della natura per tutti e non sulle speculazioni finanziarie di pochi.  Dove il tasso di interesse è controllato e umano,  dove l’orario di lavoro è ridotto per assistere le famiglie e gli anziani, dove la base dell’economia non è l’usura ma la natura.  Non sono le teorie di un economista visionario ma di un poeta, l’americano Ezra Pound, che davanti agli Statuti del Monte dei Paschi di Siena, scoperti grazie all’ospitalità del conte Guido Chigi Saracini, capì tutto. Capì che la sua Musa non poteva più fare a meno di occuparsi dell’economia. Capì che le Magistrature repubblicane,  che nel 1472 (Cristoforo Colombo non aveva ancora scoperto le Americhe)  avevano fondato la prima banca del mondo, erano nel giusto. Una folgorazione. Quello era il modello per il mondo che si doveva costruire, a costo di seguire l’assurdo Benito Mussolini e la sua crociata contro la demoplutocrazia anglosassone, che ispirata dalla Banca d’Inghilterra stava distruggendo l’Europa e l’America in nome dell’usura. Per Pound, quegli statuti senesi erano una possibile risposta al nodo da sciogliere: quello fra interessi finanziari ed etica dello Stato. Il suo avvertimento era rivolto agli uomini del nostro tempo: le lotte, le grandi lotte che viviamo in maniera sempre più drammatica (dall’epilogo della Seconda guerra mondiale, in poi) sono, in realtà, la proiezione  della lotta mortale fra l’usura, apolide e piratesca, e gli interessi di uno Stato ideale, che, rifiutandosi di asservirsi  alle logiche finanziarie finalizzate al puro profitto, indebitandosi, dovrebbe difendere le ragioni vitali dei popoli […].
Da allora, l’elaborazione di un sistema politico ed economico efficace contro l’usura, diventerà il cuore delle riflessone di Pound, che nei suoi interventi intensifica la polemica contro le manovre politiche internazionali e l’anno seguente (1933), nell’”Abc dell’economia”, scrive: “La guerra è parte dell’antica lotta tra l’usuraio e il resto dell’umanità: tra l’usuraio e il contadino, tra l’usuraio e il produttore e, infine, tra l’usuraio e il mercante, tra l’usucrocrazia e il sistema mercantilista”. E sarà ancora l’usura la molla che lo spingerà all’ammirazione definitiva del fascismo e di Mussolini, incontrato proprio sul finire del 1933: “L’usura è il cancro del mondo che solo il bisturi del fascismo può asportare dalla vita delle nazioni”, disse. Dichiarando la necessità di disciplinare le forze dell’economia  e adeguarle alla necessità della nazione. […]
[A Radio Roma, tra il 1941 e il 1943] attacca la guerra, l’interventismo di Roosevelt, la filosofia degli Alleati. L’alleanza tra il governo statunitense, la finanza inglese e il bolscevismo sovietico è contraria alla vera tradizione americana: “Non c’è nessun motivo per l’intervento degli Stati Uniti, perché il luogo dove difendere l’identità americana è il continente americano”. Ancora una volta è l’usura la causa della guerra e saranno “l’usura, l’oro, il debito, il monopolio, l’interesse di classe e l’indifferenza verso l’umanità a vincere davvero il conflitto”. Qualcuno legge in quei discorsi “rare perle di saggezza”, ma per le autorità americane sono “un miscuglio confuso di apologetica fascista, teorie economiche, antisemitismo e giudizi letterari”, che alla fine di luglio spingeranno per una sentenza di tradimento contro lo “pseudo americano Pound”. […]
[In due lettere private scritte al conte Chigi, nel gennaio e nel febbraio 1944] ha ancora la forza di criticare la stampa traditrice, l’usurocrazia che muove il mondo e gli scempi degli Alleati, che bombardando l’Italia e distruggendo i suoi monumenti hanno distrutto  i simboli dell’umanità occidentale. Chiarisce, infine, in tre lucide righe, il suo rapporto con il fascismo: “Io volevo una riforma moderata. Dico Riforma, perché in essenza il ripristino della sanità già dimostrata dai fondatori del Monte dei Paschi in un mondo impazzito dai seguaci dei guastatori, stile San Giorgio”. E conclude ancora una volta con l’idea elaborata proprio a Siena dodici anni prima: Questa guerra non s’iniziò nel 1939 ma nel 1694 a Londra (data di fondazione della Banca d’Inghilterra, ndr) facendo parte della guerra tra usurai, ovvero usuroni, e chiunque produce, chiunque fa crescere il grano”. […]
A trentacinque anni dalla morte di Ezra Pound (1972) il problema su cui ha passato l’intera vita rimane ancora sul tappeto: la perdita di sovranità dello Stato di qualsiasi nazione indebitata a favore di quella illimitata del potere finanziario creditore, che all’epoca in cui Pound scriveva poteva sembrare un’oscura e catastrofica previsione è, oggi, una realtà incontestabile. Quasi tutti i Paesi del mondo, senza esclusione, sono o si avviano a diventare debitori di potenze finanziarie globali, super e trans nazionali (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, in primo luogo).  Così come, a livello individuale, viviamo nell’epoca del credito al consumo dei bilanci familiari in default (fenomeno che Pound nemmeno immaginava). Forse bisognerebbe ripartire dagli statuti delle magistrature repubblicane senesi del 1472, e provare a uscire dal malinteso poundiano: ciò che è del popolo resti al popolo e alle sue forme di auto-organizzazione, lo Stato ideale non c’è e lo Stato, se c’è,  favorisca l’auto-organizzazione del popolo.»

Al di là dei giudizi specifici su Mussolini e della personale conclusione dell’Autore del brano sopra riportato, secondo la quale lo Stato non può o non sa opporsi allo strapotere delle grandi banche e, pertanto, dovrebbe limitarsi a favorire una non meglio precisata auto-organizzazione popolare, ci sembra che in questa sintesi della posizione di Pound sulle questioni economico-finanziarie ci sia praticamente tutto; e va dato atto che, di questi tempi, è raro trovare un giornalista o uno studioso che sappia dire pane al pane e vino al vino, con altrettanta franchezza.
Ecco perché il pensiero di Ezra Pound sulle questioni del lavoro, della produzione, del risparmio e dell’usura, anche se non è il pensiero di uno specialista e di un “tecnico”, ma di un dilettante, e, per giunta, di un dilettante che è soprattutto un poeta, che vede le cose – economia compresa - con l’occhio del poeta e nella prospettiva del poeta, non ha perso nulla della sua attualità; anzi, le vicende degli ultimi decenni sono state tali da evidenziare quanto egli sia stato lucido, e addirittura profetico, nel denunciar e il male dell’usura e nel richiamare i popoli dell’Europa alla loro vera tradizione, alla loro vera identità. Tradizione e identità che sono entrate definitivamente in crisi in quell’anno e in quel luogo, il 1694 a Londra, allorché venne fondata la prima grande banca di Stato, la Banca d’Inghilterra: la prima di quelle centrali del potere finanziario, che emettono moneta e prelevano il frutto del lavoro, in cambio di denaro virtuale, falso, immaginario, creando il meccanismo del debito e strangolando, poco alla volta, l’economia reale, fatta di persone, di famiglie, di imprese, di commerci, i quali, a un certo punto, soccombono per asfissia, affinché, nel deserto universale creato dall’usura, rimanga, trionfante e necrofila, una sola vincitrice: la borsa.

Resta solo da aggiungere che, dai tempi di Pound, i meccanismi dell’usura mondiale si sono enormemente perfezionati e ulteriormente ramificati, per esempio con la creazione delle agenzie di “rating”, vere e proprie centrali di potere finanziario “terroristico”, dai cui verdetti dipende la sorte di immense somme di denaro, spostate a vantaggio o a svantaggio non solo di singole imprese e società, ma di intere nazioni sovrane (o che s’illudono di essere ancora sovrane); e che il suo appello, pertanto, non ha perso nulla della sua drammatica urgenza, al contrario, è divenuto questione di vita o di morte…

lunedì 27 luglio 2015

L’EURO CROLLA EPPURE L’ECONOMIA NON RIPARTE…



2 aprile 2015

Ricordate chi diceva che l’Euro è troppo forte, che tornando alla Lira si potrebbe svalutare il cambio del 30% e far ripartire il PIL? Ne cito uno per tutti: “Noi oggi a Bruxelles spiegheremo che la disoccupazione è figlia inevitabile di una moneta troppo forte” (Borghi, 3 Dicembre 2013, Il Giornale).

Bene, da Marzo 2014 a Marzo 2015 L’EURO E’ CROLLATO del 25-28%. E il PIL? NEL 2014 E’ SCESO DEL -0,4%, terzo anno consecutivo di contrazione, portandosi sotto ai livelli del 2007. Dunque?

Dunque il problema principale non è l’Euro in sé né il suo livello relativo alle altre valute, il problema è il DEBITO, che con l’Euro c’entra solo di riflesso, tant’è che il rapporto Debito/PIL già nel 1992, in piena Lira, era oltre il 130%, che è il livello di oggi.

Due numeri per convincersene. Il livello del cambio della valuta domestica (Euro o Lira che sia) verso valute estere impatta principalmente sulla differenza tra esportazioni e importazioni, ovvero sul saldo della bilancia commerciale. Nel 2014 questa differenza è stata di 51 miliardi, cioè appena il 3,2% del PIL. Questa dunque è la parte di PIL che risentirebbe dell’effetto netto di una politica valutaria. Anche qui la globalizzazione ha modificato profondamente vecchie regole di economia...

Quello che impatta maggiormente sul PIL è altro, e specificamente la DOMANDA INTERNA, cioè i consumi che nel 2014 hanno pesato per ben il 61% del PIL ed in parte la SPESA PUBBLICA che pesa per il 19% del PIL.

La domanda interna è stata il vero oggetto di attacco da parte della Troika tramite le politiche di austerità, mentre la spesa pubblica è oggetto di continui tagli. Consumi e spesa pubblica potrebbero essere stimolati solo attraverso politiche espansive da parte del Governo, come ad esempio una diminuzione dell’IVA, incentivi alle famiglie o audaci programmi di ristrutturazione del Paese.

Il problema è che anche nel 2014 siamo stati costretti a produrre l'ennesimo "avanzo primario" di bilancio del 2,3% del PIL, cioè abbiamo pagato più imposte e tasse al Governo di quanto il Governo ha investito nell’economia. E questo perché occorreva pagare circa 90 miliardi di interessi passivi sul DEBITO PUBBLICO, un debito fittizio ma devastante per l'economia.

Potremmo indebitarci di più? Certo, i banchieri non aspettano altro, basta guardare le aste mensili di BOT e BTP….vanno a ruba, altro che crisi dell’Euro. Ma questo sarebbe un suicidio.

Siamo dunque in un angolo: non ci sono risorse per stimolare la crescita
del PIL e non si può raccogliere moneta senza creare altro debito che a sua volta sottrarrebbe ulteriore liquidità a causa degli interessi passivi.

L’unica strada percorribile nel breve è CREARE UNA MONETA SENZA DEBITO, gestita da imprese e famiglie e quindi sovrana, che pian piano ci emancipi dalla necessità di raccogliere Euro a debito e faccia girare gli scambi tra le aziende consentendo anche il pagamento di salari e stipendi ed il tutto faccia riprendere i consumi e quindi il PIL.

Ricordiamolo: “uscire dall’Euro” e “fare deficit” non sono obiettivi primari. La vera soluzione è USCIRE DAL DEBITO.

Di Alberto Micalizzi

martedì 21 luglio 2015

Avanzo primario ed "Euro sovrano"...


Stato italiano spendaccione, inefficiente, sprecone?
Italiani incapaci di correggere le falle della spesa pubblica e di chiudere con bilanci finanziari in ordine?
Sciocchezze.

E' lo stesso sistema economico che ci mette a disposizione almeno uno strumento – e stavolta, apparentemente, logico – per smentire questo luogo comune. Parliamo del cosidetto bilancio primario, ossia il bilancio economico dello stato tra entrate e uscite al netto degli interessi passivi da corrispondere sul debito pubblico, ossia defalcando questa voce dalle uscite.
Ebbene è stato proprio il ministero del tesoro a comunicare pochi mesi fa1che l'Italia si sta confermando da vent'anni tra i paesi più virtuosi al mondo nel chiudere questo bilancio con un avanzo primario. Sostanzialmente, se il bilancio fosse costituito da sole entrate e uscite reali (o quasi), l'Italia lo chiuderebbe largamente in attivo e sarebbe quindi in grado di affrontare una serie di spese produttive di cui il paese ha tanto bisogno e di destinare maggiori risorse alle tutele sociali e alle pensioni.
Stiamo parlando di una somma enorme, intorno al 4/5% del Pil, perché corrisponde proprio il 5% del prodotto interno lordo la somma che normalmente lo Stato italiano deve spendere per il pagamento dei soli interessi sull'incostituzionale2debito pubblico.
E tutto questo mentre altri paesi ritenuti pregiudizialmente più virtuosi sono finiti non di rado in passivo già al momento del bilancio primario.

Evidentemente le strette fiscali e finanziarie che i vari governi italiani hanno imposto al paese da tempo unite agli "incoraggiamenti" in tal senso arrivati dai poteri forti come Unione Europea, Bce e Fmi, hanno ottenuto un qualche pur doloroso risultato.
Il problema dei conti pubblici italiani è che in un secondo momento, dovendo comunque corrispondere gli interessi sui titoli a scadenza, il bilancio va infine in passivo, producendo un deficit che si somma al debito pubblico pregresso e producendo una spirale di passività e indebitamento destinata a ripetersi l'anno successivo.

Il cittadino italiano dovrebbe a questo punto chiedersi perché non sia possibile interrompere questo non-senso economico e monetario. Se i conti agganciati alle entrate e alle spese reali dello Stato, a furia di tagli e inasprimenti fiscali, sono in ordine, perché il nostro paese deve sempre e comunque essere tra i più sofferenti al mondo e additato negativamente dai grandi dell'Eurozona? Perché anche riordinando le voci di bilancio un paese come il nostro deve continuare a perseguire un ulteriore risanamento che non arriva mai rinunciando agli investimenti strutturali e alle politiche sociali fondamentali per un concreto rilancio dell'Italia?

Non vogliamo prendere nemmeno in considerazione le tesi di chi, basandosi su presupposti giuridico-finanziari errati, risponderebbe che si tratta dell'inevitabile sorte di un paese in cui le classi politiche passate, vuoi per prodigalità vuoi per offrire ai nostri nonni un tenore di vita più elevato del dovuto, avrebbero costruito il colossale debito pubblico sul quale si pagano appunto i suddetti e pesantissimi interessi.

Meglio invece focalizzarsi sulla stessa politica monetaria europea che si configura come una politica di moneta acquistata dagli stati ormai direttamente sui mercati, dove i titoli sono ceduti alle banche a mezzo di intermediari specializzati. Questo genera quindi l'indebitamento pubblico e il tasso di interesse che grava sui titoli, per quanto possa essere basso, costituisce un boomerang finanziario destinato a rendere il debito tecnicamente inestinguibile anche alla luce, evidentemente, dei debiti pubblici contratti dai paese europei, e quindi anche dall'Italia, nei decenni precedenti l'avvento dell'euro.
L'unico modo per spezzare questo circolo vizioso, oltre a un ripudio del debito (giuridicamente possibile tramite il principio internazionalmente riconosciuto del "debito detestabile"3) è quello di creare le condizioni affinché una siffatta spirale non si ripeta e quindi la conquista da parte dello stato della sovranità monetaria.

Oggi più che mai è necessario spendere qualche momento per chiarire cosa realmente significhi questa espressione che negli ultimi anni è stata (volutamente???) distorta da alcuni studiosi del tema, da politici opportunisti e maldestri e, ovviamente, dai media che l'hanno citata a sproposito.
La moneta sovrana è quella moneta che all'atto dell'emissione appartiene alla collettività e viene creata e messa in circolazione senza alcuna contropartita di debito pubblico. Non hanno alcun fondamento le critiche di chi vede in questa politica monetaria un pericolo di inflazione perché tale critica, oltre a confondere ingenuamente lo strumento con un suo cattivo utilizzo, dimentica che le crisi monetarie e creditizie dell'ultimo secolo sono state causate dalle modalità di emissione attualmente in vigore (ossia con contropartite di debito) e sono pertanto quest'ultima e il sistema bancario a dover essere messi sotto processo e non la loro correzione.
E' invece bene specificare che la sovranità monetaria non ha nulla a che vedere con il ritorno a una valuta nazionale in quanto la sovranità inerisce le modalità di emissione e non il contesto geografico di validità della moneta. Questa può indistintamente essere sovrana a livello comunale (in caso di moneta locale) o continentale (come moneta sovrana sovranazionale emessa da un insieme di stati). Paradossalmente invece, la vecchia lira, così come ogni altra divisa europea o l'attuale sterlina inglese, non erano e non sono monete sovrane bensì monete emesse a debito.
Possono pertanto essere derubricati al rango di ciarlatani, demagoghi e mentitori approfittatori personaggi del calibro di Matteo SalviniClaudio Borghi Aquilini che vorrebbero spacciare l'uscita dall'euro e il ritorno alla lira sic et simplicitercome una riconquistata sovranità.
Addirittura peggiore è la posizione di elementi come Paolo Barnard e i sostenitori della Modern Money Theory (MMT) i quali non solo denigrano, in base agli stessi frantintendimenti giuridici del sistema, la proposta di una moneta realmente sovrana, ma addirittura si appropriano dell'espressione "sovranità monetaria" per definire tale la loro ricetta. Ricetta che, in estrema sintesi, si riduce a un ritorno alla lira da un lato e dall'altro alla conversione della Banca d'Italia in prestatore di ultima istanza in grado di emettere moneta a volontà ma sempre con debito in contropartita, qualcosa di simile alla situazione italiana precedente il divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro degli anni '80. In pratica, una politica monetaria non sovrana che gattopardescamente cambierebbe tutto senza cambiare niente.

In realtà a fronte dei gemelli della demagogia Salvini e Barnard sarebbe più realistico proporre, riconosciamolo, con una certa dose di provocazione, uno slogan opposto allo sbandierato "No euro", ossia "Euro sovrano". Se infatti l'area in cui la valuta ha corso legale non ha nulla a che vedere col fatto che la valuta stessa sia sovrana o no, risulta molto più in linea con la battaglia sovranista non il ritorno a una divisa nazionale data in pasto ai banchieri ma la nazionalizzazione dell'attuale valuta in circolazione, l'euro appunto.
Mantenere valida questa moneta, con tutte le condizioni di accettazione globale di cui già gode, liberando però gli stati dell'eurozona dal peso degli interessi sul debito pubblico e, in conclusione possiamo dirlo, dello stesso capitale del debito4, permetterebbe una primaliberazione nazionale e continentale da proseguire poi, certamente, con l'eventualedefinizione di politiche monetarie dei singoli stati.

Se ne ricordino bene i fanfaroni della "spesa pubblica incontrollata", dei "conti pubblici in disordine" e del "debito pubblico insostenibile".
Se ne ricordino bene i popolini che pendono dalle loro labbra pensando che siano i messia della moneta e dell'economia.

[1] http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2014/11/18/-tesoroitalia-tra-primi-per-avanzo-primario-da-20-anni-_b978bbb1-1622-4e7e-b8c0-66e6c84c9899.html
[2] L'articolo 3 della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo. Il debito pubblico risulta quindi incostituzionale in quanto nasce dalla prassi dello Stato di acquistare valuta da un soggetto esterno (da una banca centrale prima, sul mercato presso le banche private ora) in cambio di titoli di stato ormai detenuti all'86% proprio da banche, assicurazioni e fondi di investimento.
[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Debito_odioso
[4] L'86% del debito pubblico italiano, come riportano alla nota 2, è detenuto da soggetti privati che hanno acquistato ciò che non poteva esser costituzionalmente loro ceduto e, per legge, non possono pertanto esigere alcun rimborso come spiegato dall'avv.to Marco Della Luna nel libro "Euroschiavi".

mercoledì 8 luglio 2015

Ginevra avrà una sua moneta in settembre



L'agglomerato franco-ginevrino avrà una sua moneta dal 18 settembre: lanciato dall'economia sostenibile locale, il "léman" circolerà in una regione transfrontaliera abitata da un milione di persone. L'obiettivo è di favorire la produzione e il consumo di prossimità.
"L'acquisto di beni e servizi prodotti localmente ha un effetto evidente sul clima grazie alla diminuzione dei trasporti, che provocano il 25% delle emissioni di gas a effetto di serra", ha sottolineato oggi nel corso di una conferenza stampa Txetx Etcheverry, cofondatore dell'eusko, la moneta locale del Paese basco. Lanciata a fine gennaio 2013, l'eusko è diventata la terza moneta complementare in Europa.
Le aziende francesi e svizzere che accetteranno i léman si impegneranno a rispettare una carta delle pratiche economiche responsabili dal profilo sociale ed ambientale, ha spiegato l'ecologista ginevrino Jean Rossiaud, presidente dell'associazione Sasfera Suisse, all'origine del progetto. Per le persone private - ha sottolineato - la moneta equivarrà ad un marchio.
Il léman sarà lanciato ufficialmente il 18 settembre a Ginevra nell'ambito di Alternatiba Léman, un festival transfrontaliero delle alternative alle mutazioni climatiche. Gli appositi uffici di cambio scambieranno un léman contro un euro. Il cambio a partire dal franco svizzero dipenderà invece dal corso della divisa unica europea. I promotori prevedono di emettere 200'000 léman in banconote da 1, 5, 10 e 20.
Secondo Jean Rossiaud saranno necessari da 200 a 300 aderenti affinché la moneta possa effettivamente essere lanciata. Finora una cinquantina di imprese hanno manifestato il loro interesse, come pure la Città di Ginevra e i comuni di Carouge e di Annemasse (F). Immaginato per la regione del "Grand Genève" - nella quale sono compresi oltre 200 comuni francesi e svizzeri - il léman potrà essere utilizzato anche oltre le frontiere dell'agglomerato.

Fonte: http://www.bluewin.ch/content/bluewin/it/news/svizzera/2015/7/7/ginevra-avra-una-sua-moneta-in-settembre.html